Virilità

Giovanni Cocconi
4 min readMar 7, 2021

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“Io piscio da seduto”. Il coming out è stato a una cena tra colleghi, un po’ di anni fa. Tutti maschi. Non facendo parte di una generazione gender fluid mi sono dovuto giustificare: “Mi sembra utile non sporcare la tavoletta e il bagno”. E ho resistito alla tentazione di farfugliare un generico “anche nei paesi nordici fanno così” che mi avrebbe fatto sentire un po’ Checco Zalone emigrato in Norvegia.

Solo da alcuni anni ho capito che la questione della pipì e della tavoletta è fondamentale. Il regista Luca Guadagnino, che ha più o meno la mia età, ne ha fatto un manifesto delle nuove generazioni. “Pensi che essere maschio significhi pisciare in piedi, sparare e avere chili di baffi?” chiede a un certo punto Fraser, il protagonista della serie tv We Are Who We Are. Non sapevo di essere così avanti.

In un’intervista scoperta di recente lo scrittore Francesco Piccolo, autore di un libro dedicato al maschio come essere primitivo (L’animale che mi porto dentro), ha raccontato che un suo amico di Caserta era convinto di essere una persona speciale perché, prima di fare la pipì, alzava la tavoletta: diceva che la moglie si era innamorata di lui per quello. E io, allora, che invece di alzare la tavoletta mi abbasso direttamente? Non sapevo di essere così speciale.

Fare la pipì da seduto non mi rende certamente un uomo migliore, ma un genitore più sereno sì. Quando ancora non sapevo se sarei diventato padre di un maschio o di una femmina il dubbio non mi lasciava indifferente. Anzi. E se la generazione di mio padre e mio nonno ha sempre confessato un ancestrale debole per il maschio (salvo forse pentirsi dopo), io ho sempre puntato dritto sulla femmina. Primo, perché il futuro è donna, come aveva capito anni fa quel matto di Marco Ferreri che ha provato a dircelo in tutti i modi. Avete visto Madame e Matilda De Angelis a Sanremo e avete ancora dubbi che il futuro non sarà delle donne? Secondo, perché diventare padre di un maschio mi avrebbe precipitato nel gorgo di una serie di domande senza risposta. E ora, cosa insegno a un figlio? Quale modello di maschio gli propongo? Quello tutto d’un pezzo o quello che mostra le sue fragilità? Quello complice con gli altri maschi o quello competitivo? Uno che parla di calcio e sesso con il figlio oppure no? Il padre del dovere o quello del piacere? Il padre di Kafka o quello dei fratelli Karamazov? Per restare al libro di Piccolo, uno che esalta l’animale che mi porto dentro oppure uno che lo respinge, un maschio che lo accetta o uno che lo ignora? Insomma, uno che piscia in piedi o da seduto?

Vuoi mettere una figlia femmina, che ti adorerà già solo per il fatto di essere il primo uomo che incontrerà nella sua vita — un primato che sarà tuo per sempre — e che non cercherà mai di considerarti un modello di comportamento, anzi almeno per un po’ di anni ti amerà proprio per la tua irresponsabile assenza di Super Io? Vuoi mettere Amelia?

Essere padri di un maschio, invece, per la mia generazione significa essere messi inevitabilmente di fronte al proprio momento Kevin Kline quando, nello stupendo In&Out, per dimostrare di non essere gay deve resistere alla tentazione di ballare al ritmo di I will survive di Gloria Gaynor. Un test di virilità. Provateci voi a stare fermi: siamo tutti gay noi cinquantenni.

Molto meglio vivere senza bisogno di chiedersi quanto siamo maschi. Anche perché le occasioni sono sempre meno e, temo, sempre più noiose. Ho sperimentato direttamente più volte che per il maschio cinquantenne non c’è partita di calcio o poker che tenga. Il vero test di virilità è rimasto uno solo: la grigliata all’aperto. L’unica occasione in cui può sentirsi ancora capo del branco. Un po’ l’equivalente della lotta libera in Mongolia alla festa del Naadam. Fateci caso: non c’è mai una donna a dirigere la grigliata. Non si sa perché, ma il maschio italiano si sente investito della missione di inforcare spiedini e salsicce per tutti. Ma se c’è un altro maschio in zona comincerà a chiedergli se ha marinato la carne, se l’ha bucata con la forchetta, se la legna era del diametro giusto, se la griglia è troppo bassa, se si sia ricordato del sale, se non abbia esagerato con l’olio, se ha tirato fuori la carne dal frigorifero almeno un’ora prima, se l’ha fatta riposare prima di servirla, se l’ha girata abbastanza, se il trito di erbe aromatiche è troppo sbilanciato sul rosmarino o sull’alloro e, prima o poi, cercherà di impossessarsi del forchettone per girare la carne: lo scettro del potere. Non so se il maschio sia l’animale che ci portiamo dentro, ma è certamente l’unico depositario dei segreti della carbonella. Quindi ho deciso: virile o no, continuerò a pisciare da seduto.

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Giovanni Cocconi

"Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere" (Anna Maria Ortese). Qui solo cose personali